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"Ecce homo": oggi a Perugia la presentazione dell'opera datata 1620 di Cavalier d'Arpino

"Ecce homo": oggi a Perugia la presentazione dell'opera datata 1620 di Cavalier d'Arpino, di recente attribuzione. Il quadro, di proprieta' della Fondazione Carisp Perugia, identificato dal prof. Mancini.
Venne acquistato dall’allora Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, Giuseppe Ermini, al costo di 150 mila lire. Non se ne conosceva l’autore, tanto che nella scheda inventariale dell’Ateneo risulta come opera di un anonimo di fine XVI secolo. Il quadro fu appeso in uno degli uffici della sede del Rettorato e lì rimase per anni, nel suo anonimato. Poi nel 2005 venne restaurato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia per essere collocato di nuovo negli uffici del Rettorato. La svolta solo qualche mese fa, quando il professor Francesco Federico Mancini ha posato gli occhi su quella immagine dall’autore ancora sconosciuto ravvisandone una qualità molto alta. “Ecce Homo”, “Ecco l’uomo”, è opera di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, che risale intorno al 1620. Professor Mancini, sarà una soddisfazione per lei aver dato un nome a quell’autore finora sconosciuto. In assenza di elementi sicuri, come ha fatto? Tutti gli artisti hanno quelle che in gergo tecnico vengono chiamate ricorrenze, dettagli apparentemente insignificanti in una composizione pittorica come le mani, le orecchie, i nasi, le bocche che finiscono per diventare sigle distintive, elementi di riconoscimento del loro stile. Attraverso la comparazione di questi dettagli con analoghi dettagli presenti in altre opere del Cavalier D’Arpino e considerando anche altre componenti, come il colore impiegato, sono arrivato ad attribuire il quadro al Cavalier D’Arpino. Ci descriva le peculiarità di questo stile. Le mani scarne, ossee. L’appoggio della luce sul naso. Il turbante di Pilato. Li ritroviamo identici in altre opere di Giuseppe Cesari. Questa attribuzione equivale ad una valorizzazione dell’opera. Ovviamente sì. C’è da considerare che il quadro venne acquistato nel 1963 da Giuseppe Ermini, figura molto importante sia a livello nazionale - fu ministro della pubblica istruzione - sia per il contesto dell’Umbria. Fu Rettore dell’Ateneo di Perugia per più di trent’anni, dall’immediato dopoguerra fino agli anni ’70. In seguito alla decisone di sistemare le facoltà umanistiche nel centro storico di Perugia, acquistò alcuni palazzi monumentali che però erano privi di arredi. Procedette pertanto ad acquistare mobili, oggetti, incisioni, quadri, sculture, lampadari e tutto ciò che serviva per dare dignità ai disadorni interni di quegli storici edifici. Stesso discorso venne fatto per la sede del Rettorato, l’antico monastero degli Olivetani che dagli inizi dell’800 era passato nella disponibilità dell’Università di Perugia. Il quadro venne acquistato da Ermini al prezzo di 150 mila lire, non modico per il periodo, presso un antiquario di Anghiari che si chiamava “Calli”. Poi venne appeso in uno degli uffici di Palazzo Murena, dove rimase senza suscitare particolare attenzione fino al 2005, quando venne restaurato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. Dopo l’intervento venne ricollocato in uno degli uffici del Rettorato, lì dove è caduto il mio sguardo e dove ho subito capito che si trattava di un’opera di grande qualità. Evidentemente l’attribuzione al Cavalier d’Arpino ne ha incrementato sia il valore artistico sia quello economico. Inutile dire che si tratta di un importante riconoscimento. Perché? Le rispondo ricordando che Giuseppe Cesari fu il pittore più apprezzato e considerato nella Roma di fine ‘500. La sua fortuna coincise con il papato di Clemente VIII Aldobrandini che fu pontefice dal 1592 al 1605. Fu un momento di grande successo per lui. Diventò pittore ufficiale della corte pontificia e realizzò cicli pittorici di grande importanza. Decorò alcune sale dei Palazzi Vaticani, lavorò nella Chiesa di San Giovanni in Laterano, nel palazzo del Quirinale, nel Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Il Cavalier d’Arpino aveva due registri stilistici, nel senso che quando operava per i privati si esprimeva in modo meno compassato, metteva in atto uno stile più raffinato ed elegante. Quando invece lavorava per la Chiesa teneva un registro più cerimoniale, più solenne, si direbbe di rappresentanza. Che legame c’è con Perugia e con l’Umbria? La fortuna di Giuseppe Cesari conobbe un flessione con il successore di Clemente VIII, Paolo V Borghese. Basta ricordare la vicenda della decorazione della cupola di San Pietro, una commissione precedentemente ricevuta, ma prontamente revocata. Di questa grande impresa, bruscamente interrotta, restano solo i bozzetti, giganteschi cartoni ancora visibili nei magazzini dei Musei Vaticani. Nel 1607 il Cesari fu persino imprigionato per detenzione illegale di armi da fuoco. Dietro questa operazione si nascondeva la precisa volontà di Papa Paolo V, ma soprattutto di suo nipote, Scipione, desideroso di entrare in possesso della prestigiosa collezione d’arte che il Cavalier D’Arpino aveva messo insieme negli anni. Col pretesto del sequestro delle armi gli venne dunque sottratta l’intera collezione. Scipione era un collezionista avido, rapace. Approfittando della sua posizione di privilegio fece portare via da Perugia – organizzando la missione di notte perché sapeva che la città era pronta ad insorgere - il Raffaello che si trovava a San Francesco al Prato e che ora è collocato presso la Galleria Borghese. Per risarcire la città, rimasta priva di un capolavoro di prima grandezza, fu proprio il Cavalier d’Arpino a vedersi commissionata una copia della Deposizione Borghese, la stessa che ora si trova alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Tutto avvenne poco prima che venisse arrestato. Quindi l’ “Ecce Homo” è l’unica opera che di lui resta a Perugia, a parte la riproduzione del Raffaello. Sembra proprio di sì. Va detto che l’artista realizzò molte opere per la nostra città. Le fonti dicono che erano più di 10 i quadri di sua mano conservati a Perugia. Ora non ce n’è più nessuno. Siamo a pochi giorni dalla Pasqua. E’ un caso che la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e l’Università degli Studi di Perugia abbiano deciso di “svelare” proprio ora l’ Ecce Homo? E’ il momento più opportuno. Il quadro racconta un episodio della Passione di Cristo. Per l’esattezza il momento in cui Pilato, governatore romano della Giudea, raffigurato con il tubante in testa, mostra Cristo ai sacerdoti e al popolo che ne chiede la testa. Lui non era convinto della colpevolezza di Cristo ma di fronte alle tante pressioni ricevute, lo consegnò ai suoi carnefici, indicandolo con la mano e pronunciando la famosa frase “Ecce Homo”, “Ecco l’Uomo”. Il Cristo è raffigurato con un mantello rosso, simbolo di un burlesco trionfo militare; reca in mano una canna che simboleggia lo scettro di un potere inesistente. Non ha invece sul capo la corona di spine terzo elemento di questa drammatica farsa, ricordato nei Vangeli di Giovanni, Marco e Matteo. Solo Luca non ne fa parola. Un’anomalia dunque. Due sono le ipotesi: o il Cavalier d’Arpino si è ispirato proprio al Vangelo di Luca; oppure ha scelto deliberatamente di omettere la corona di spine. E questo per eliminare dal racconto un attributo ad alta valenza drammatica. Il quadro sarà esposto presso la sede della Fondazione, in Corso Vannucci, per un solo giorno. Poi? Poi tornerà al suo posto, presso la sede del Rettorato.
Perugia
30/03/2015 09:11
Redazione
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