Torna ad essere oggetto di confronto il Gonfalone del Corpus Domini, dell’omonima confraternita di Gubbio, oggetto di un intervento di restauro negli ultimi 15 anni, e divenuto motivo di disputa e diversa attribuzione tra studiosi e cultori dell'arte, nel corso di questo lungo periodo.
Dopo l'intervento dalle colonne de "Il Giornale dell'Arte" di Tina Lepri, che rispolvera l'attribuzione del gonfalone bifacciale a Raffaello (o comunque alla bottega del Santi, suo padre), torna a farsi sentire anche chi tale attribuzione non solo ha disconosciuto ma motivato con l'attribuzione dell'opera a Benedetto Coda. Si tratta dello studioso eugubino Ettore Sannipoli, che fin dal 2005 insieme a Francesco Mariucci e Fabrizio Cece, aveva contestato l'attribuzione allora fatta da Giordana Benazzi.
Sannipoli - in un articolo che uscirà nel prossimo numero del "Bollettino di S.Ubaldo" - ricorda che "il primo studioso a interessarsi del dipinto è Luigi Bonfatti (1874), il quale attribuisce l’opera al pittore eugubino Pietro Paolo Baldinacci. Sempre il Bonfatti lo cita nel suo manoscritto sulle arti e gli artisti di Gubbio, mantenendo inalterata l’attribuzione. Dopo un lungo periodo di silenzio, il gonfalone viene nuovamente menzionato da Paolo Salciarini (1992), il quale riporta l’opinione di Enzo Storelli che conferma il tradizionale riferimento dell’opera al Baldinacci. Due anni dopo Laurence Kanter, nel suo studio su Francesco Signorelli, cita il dipinto come lavoro di un artista influenzato da Giorgio Vasari e attivo verso la metà del Cinquecento. Nel 2000 è ancora Enzo Storelli a dedicare allo stendardo un articolo. Egli ritiene che «nonostante le estese ridipinture subite nel tempo a causa del suo utilizzo, la giustezza dell’attribuzione del manufatto al Baldinacci possa essere confermata».
Sul «Corriere della Sera» del 14 ottobre 2004, viene riportata con grande evidenza la notizia dell’attribuzione a Raffaello del gonfalone del Corpus Domini. In base all’interpretazione come firma del monogramma che compare più volte sul piviale di Sant’Ubaldo e ad analogie tecniche e stilistiche riscontrate con opere giovanili dell’Urbinate, Giordana Benazzi avanza l’attribuzione dell’opera eugubina a «un Raffaello giovanissimo, magari del 1498-99, quindi sedicenne, ben lontano dalle raffinatezze di cui sarà capace dopo aver assorbito l’insegnamento del Perugino». Il gonfalone come opera di Raffaello viene ufficialmente presentato alla stampa il 20 ottobre dello stesso anno. In tale occasione sono diffusi tre testi storico-critici: il primo, a cura di Paolo Salciarini, con note storiche sul gonfalone e sulla confraternita eugubina del Corpus Domini; il secondo, di Giordana Benazzi, sull’attribuzione del dipinto a Raffaello; il terzo, di Massimiliano Bassetti, dedicato all’interpretazione del monogramma presente sul piviale del patrono di Gubbio come firma di Raffaello. In breve tempo la notizia dell’attribuzione si diffonde in tutto il mondo, trovando fertile campo nei mass media ma anche determinando le prime perplessità e reazioni critiche, soprattutto da parte di alcuni storici dell’arte.
Giordana Benazzi e collaboratori (in primo luogo il paleografo Massimiliano Bassetti) interpretano il «signum» come «RAV» o «RAPhV», ipotesi di scioglimento che stanno entrambe per «Raphael Urbinas» («Ra(phael) V(rbinas)»; «Raph(ael) V(rbinas)»). Tale interpretazione viene subito contestata da Fabrizio Cece, Francesco Mariucci ed Ettore Sannipoli, i quali individuano nel monogramma le lettere V, B, A, L (e forse D), a significare il nome del patrono di Gubbio «Ubaldus» («Vbal(dus)» oppure «Vbald(us)»). Scetticismo in merito alla presunta firma di Raffaello è, poco dopo, manifestato dallo storico dell’arte Tom Henry, che dichiara: «a monogram on the mantle of a saint doesn’t constitute a signature». Conferme della lettura «Ubaldus» vengono successivamente da altri studiosi locali come Bruno Cenni, Patrizia Biscarini e Giuseppe Nardelli. L’interpretazione del monogramma come «V-B-A-L [e forse D]» risulta «perfettamente logica, come elemento di identificazione del soggetto» anche a parere di James Beck. Secondo Francesco Federico Mancini «di nessuna consistenza è l’argomento portato da Benazzi a principale sostegno dell’attribuzione: lo scioglimento del monogramma, che corre lungo il bordo del piviale di sant’Ubaldo, in “RAV”, interpretato come “RAPHAEL VRBINAS”. Molto più sensatamente il monogramma è stato sciolto in “UBAL”, con evidente riferimento al santo eugubino».
Giordana Benazzi afferma che «pur nel cattivo stato di conservazione […] l’opera mostra stringenti analogie con altre opere giovanili di Raffaello, in particolare con il Gonfalone della Trinità di Città di Castello e con la frammentaria pala di San Nicola da Tolentino, anch’essa eseguita per Città di Castello tra 1500 e 1501, prima opera documentata di Raffaello».
Perplessità sull’attribuzione all’Urbinate vengono espresse subito dopo la pubblicazione dell’articolo sul «Corriere della Sera» da Ettore Sannipoli, secondo il quale l’operato in Gubbio di Raffaello «avrebbe avuto maggiore diffusione e lasciato delle influenze». Ma sono soprattutto le opinioni di James Beck e Tom Henry a frenare, sulla stampa internazionale, l’entusiasmo dei fautori dell’ipotesi attributiva a Raffaello giovanissimo.
Il 14 dicembre 2004 Fabrizio Cece, Francesco Mariucci ed Ettore Sannipoli diffusero un comunicato con il quale si annunciava l’attribuzione dello stendardo del Corpus Domini «al pittore riminese Benedetto Coda (notizie dal 1492 al 1533), che lo realizzò, forse con il concorso della sua bottega, attorno al 1520». Nella brevissima nota si precisava: «Le indagini già condotte hanno portato all’individuazione di numerosi e convincenti riscontri di ordine stilistico tra lo stendardo eugubino e le opere certe o attendibili del Coda. Lo studio è ancora in corso e dunque suscettibile di assestamenti e ulteriori precisazioni». Le ricerche preliminari tese ad appurare l’estrazione geografica dell’opera avevano infatti incoraggiato i tre studiosi a verificare la possibilità che il gonfalone fosse un prodotto riconducibile a quella cultura adriatica estesa ai territori limitrofi di Urbino, Pesaro e Rimini, in qualche misura esemplificabile con figure di pittori come quella di Giovanni Santi, alla cui cerchia il dipinto eugubino era peraltro già stato da alcuni avvicinato. Nel novero degli artisti operanti in questo vasto areale, Benedetto Coda sembrava rappresentare, dal punto di vista stilistico, il più concreto punto di aggancio con le caratteristiche formali dello stendardo del Corpus Domini.
A incoraggiamento dell’ipotesi attributiva proposta, è stato portato un atto notarile del 30 luglio 1520 con il quale i priori della confraternita di Santa Croce del Corpus Domini nominano loro procuratore Nicola di Baldantonio Nucci di Gubbio in ogni causa, soprattutto in quella con «Benedicto ... pictore de Arimino»:
Inconsistente appare l’ipotesi, formulata da Giordana Benazzi (2008, p. 259, nota 20), di una «ridipintura pressoché totale dello stendardo» da parte di Benedetto Coda e collaboratori, «realizzata meno di un quarto di secolo dopo l’esecuzione dell’opera». A detta della stessa Benazzi (2013, p. 122), infatti, la ridipintura di entrambe le facce fu eseguita «rispettando i soggetti rappresentati», i quali mostrano puntali corrispondenze (nel disegno, nella postura dei personaggi, in altri elementi ancora) con le opere della bottega del Coda, anche precedenti al 1520. Tutto lascia intendere che il gonfalone eugubino del Corpus Domini sia, dunque, un lavoro di Benedetto (e collaboratori); risulta, per contro, assai arduo immaginare che dipinti riconducibili alla nota bottega riminese rappresentino un’eco dell’intervento del pittore sulla «precoce opera raffaellesca» di Gubbio, come suppone invece Giordana Benazzi".
Gubbio/Gualdo Tadino
26/02/2020 15:55
Redazione