“Un simbolo di fedeltà, una donna devota, non in prima fila ma proprio per questo di grande spessore in quanto capace di ritagliarsi un ruolo di riferimento nei confronti del Duce”. Sono molteplici le definizioni di Cesira Carocci, governante di Mussolini per 12 anni (dal 1923 al ’34) eugubina e o protagonista del libro di Gianni Scipione Rossi “Cesira e Benito” – edito da Rubbettino – presentato sabato a Gubbio, al Centro Servizi S.Spirito su iniziativa di Photolibri. Presenti, oltre a Rossi, il prof.Giovanni Belardelli, dell’Università di Perugia e il giornalista Francobaldo Chiocci, coordinati da Italo Cicci, ex parlamentarista Rai. Il libro di Rossi è dedicato ad una figura non politica e nemmeno funzionale al partito e all’ideologia del Ventennio, tanto da far dire allo stesso autore: “Non credo che la Carocci sia stata fascista, ma di sicuro era mussoliniana. Nel senso di una vocazione a seguire il leader che prescindeva dalla situazione politica del momento. Come del resto avvenne anche per tanti italiani”. Quella di Cecilia Carocci è una storia minore, di un personaggio tutto d’un pezzo (ribattezzata “Suor Salutevole” da D’Annunzio, per la cura amorevole con cui alleviava le patologie del Duce) che però è lontana anni luce da altri “cortigiani” di Mussolini e ancor di più dai tanti “portaborse” di oggi, pronti a rivelare o vendere a suon di euro insignificanti curiosità di bottega legate al personaggio di turno. “E’ morta in povertà a Gubbio, rifiutandosi sempre di rivelare o vendere la sua memoria – ricorda Rossi – ma se dopo 12 anni dal suo licenziamento (i rapporti con donna Rachele non erano stati idilliaci) ancora Mussolini le scriveva e le inviava denaro, qualcosa di importante questa donna rappresentava per il Duce”. Quelli che oggi chiameremmo gossippari, le attribuiscono da sempre anche una relazione andata oltre la semplice platonica venerazione per Mussolini. Ipotesi, non esclusa da Rossi, ma da Chiocci per il quale anzi “Cesira è forse l’unica donna ad aver rifatto il letto del Duce senza essercisi mai infilata dentro”. Il valore di questa figura femminile, secondo il prof. Belardelli, è tale proprio perché “prescinde dal fascismo, ma appartiene a quel mondo sconfinato di persone anonime, che svolgono lavori umili, ma la cui esperienza e testimonianza ci permette di conoscere meglio il mondo di allora, l’atmosfera di quegli anni”. Anche Belardelli sottolinea l’indole parca della Carocci, “sottrattasi sempre negli anni ’50 all’avidità dei rotocalchi che cercavano rivelazioni o testimonianze dirette sul Duce”. Nella sua conclusione Gianni Scipione Rossi ha spiegato anche il titolo “Cesira e Benito” (e non viceversa) in quanto “per una volta è il personaggio apparentemente minore a mettere in secondo piano la figura di più alta valenza storica”. Ma Rossi ha evidenziato, su sollecitazione di Chiocci, come dal libro emerga positivamente anche la figura dell’allora podestà di Gubbio, Lamberto Marchetti (“cui la città come per Mazzolini, dovrebbe riservare un’intitolazione”) che “per vent’anni si è speso per Gubbio, adoperandosi per molteplici progetti e chiedendo ausilio a deputati, ministri e anche alla Carocci, cui forse si deve, parimenti al podestà, il finanziamento di 1,2 milioni di lire di allora, per la costruzione dell’attuale edificio scolastico di via Perugina. E’ curioso – ha commentato - come un regime teutonico come quello di allora potesse elargire fondi e risorse anche sulla spinta di una governante. Ma evidentemente si trattava di una donna speciale, che ha avuto un ruolo importante e meritava di essere ricordata”.
Gubbio/Gualdo Tadino
17/12/2007 17:58
Redazione