Il colore della libertà è anche in un piatto gourmet che 17 detenuti del carcere di Capanne, a Perugia, stanno imparando a realizzare grazie al corso di cucina organizzato nell' ambito del progetto "Dietro le sbarre vive la speranza". Spadellano, assaggiano, impiattano e sperano in una vita migliore. Lontana dai guai per cui stanno scontando la loro condanna. Il laboratorio sono i fornelli del penitenziario - sezione maschile - dove l' ANSA ha potuto seguire all' opera questa brigata che per qualche ora ha svestito i panni del carcerato e ha indossato quelli del cuoco. A guidarla c' è Catia Ciofo, una degli chef chiamati a tenere il corso per conto della cooperativa "Frontiera lavoro". "Vedere nei loro occhi la gioia di realizzare piatti belli e buoni è qualcosa di molto appagante, ti fa capire che nella vita c' è sempre la possibilità di avere una seconda opportunità e questi ragazzi sentono di poterla cogliere", racconta. "E sono certa - aggiunge - che al termine del corso e quando torneranno ad essere uomini liberi, potranno davvero lavorare in un ristorante, perché le competenze che acquisiscono in questo percorso sono molto buone". "L' obiettivo del progetto - spiega il responsabile Luca Verdolini - è proprio quello di consentire agli allievi di intraprendere un percorso di crescita personale e professionale al termine del quale possano ambire ad una collocazione nel mercato del lavoro ordinario". Ed esperienze in tal senso già ci sono e qualcuno degli attuali detenuti che frequentano il corso, svela che presto inizierà a lavorare in un locale del centro storico di Perugia, "visto che mi è stata concessa là semilibertà". La speranza di una vita diversa da quella fin qui condotta accompagna ogni singolo gesto di ogni singolo detenuto. Chi sogna di voltare pagina e aprire una trattoria con sua moglie e sua figlia è Angelo, originario di Taranto, tornerà ad essere un uomo libero nel luglio del 2030. Federico, invece, è della periferia di Perugia ed ha solo 24 anni. "Prima di sbagliare con la vita - racconta -, facevo il pizzaiolo e il panettiere. La cucina è il mio ambito e in questi anni che mi sono rimasti di carcere voglio studiare e migliorarmi in questo settore, lo devo fare per me stesso, per la mia famiglia e soprattutto per mio figlio che ha 3 anni". Vincenzo e Stefano non sono giovanissimi e ad attenderli a casa hanno le rispettive mogli. Probabilmente, quando usciranno, non faranno i cuochi ma sottolineano "l' importanza di restare attivi dentro il carcere, è fondamentale per non dire tutto". "Mettere il grembiule e il cappello da cuoco ti fa dimenticare anche di essere qua dentro", dice invece Abdel. Chi sembra un po' spaventato dal futuro è Adel, 30 anni algerino: "Qui ogni giorno si impara una cosa nuova, quando esco spero di non sbagliare più". Poi arriva il momento di assaggiare i piatti cucinati, ci tengono ad avere un giudizio sul lavoro svolto. Perché dentro quelle polpette c' è il sapore di un domani migliore.