Una Pasqua di Resurrenzione, non solo per il messaggio evangelico, ma anche per il ritorno dopo due anni di Covid alla quasi normalità, ma anche una Pasqua di mestizia, con il pensiero rivolto ai fatti di guerra in Ucraina che giungono non solo con le cronache, ma anche con i tanti profughi, fino a noi. Il vescovo di Gubbio monsignor Luciano Paolucci Bedini nelle sue omelie del periodo pasquale, quella a San Domenico nella serata del Venerdì Santo, quella in cattedrale nella lunga veglia tra il sabato e la domenica, ha fatto trapelare più volte questi opposti sentimenti . Il primo gesto che ha chiaramente fatto capire quanto la Diocesi si senta coinvolta nell'aiuto umanitario e spirituale ai profughi della guerra, lo si è visto la sera del Venerdì Santo, quando sono state proprio delle donne ucraine a ungere le cinque piaghe del Cristo sul simulacro che è tornato nella restaurata chiesa di Santa Croce della Foce. Un'usanza antica quella dell'unzione delle piaghe che risale agli inizi del XX secolo e che è stata recuperata dalla Confraternita di Santa Croce della Foce in anni recenti. Quest'anno, il vescovo in accordo con don Andrea Svanosio, d’intesa con i confratelli , ha voluto che a compiere questo rito fossero due donne quarantenni di Kiev, una delle quali con la bambina di 4 anni, in fuga dalla guerra ed ospitate presso famiglie di Gubbio. A questo momento ha fatto seguito l'intensa e partecipata Processione del Cristo Morto che nel suo struggente canto antichissimo del Miserere è stata un'ideale prosecuzione del momento di sofferenza vissuto da tante famiglie di profughi in questo frangente storico, ma al tempo stesso una rinascita per un antico rito che il Covid negli ultimi due anni aveva fortemente ridotto nella forma e nelle presenze. La notte di Pasqua è stata l'omelia in cattedrale a spronare i fedeli ad una nuova rinascita ridando vita e valore al sacramento del battesimo che proprio nella notte del Risorto vede come da tradizione rinnovato il fonte battesimale.