GUBBIO - "Il Piacere è peccato, ma qualche volta il peccato è un piacere", scrive Gorge Byron e non gli si può certo dare torto. Ma chi è in grado di commettere tutti e sette i peccati capitali in una sola sera?
Chi ha partecipato allo spettacolo teatrale itinerante "Il parco dei peccati" organizzato dall’associazione Arte & Dintorni presso Parco Ranghiasci può dire di aver assaporato il gusto del peccare. I numerosi presenti, incuriositi e al contempo quasi scettici, restii a percorrere questa strada del peccato, si sono poi ritrovati avvolti in un'atmosfera del tutto surreale e mistica, catapultati in un "mondo fuori dal mondo", in cui tutto è possibile e dove non peccare è peccato, ossia nell'universo multiforme ed enigmatico dell'arte.
Dislocati lungo tutto il parco, i sette vizi capitali a cui ne è stato aggiunto un ottavo, sono stati rappresentati ognuno attraverso una forma artistica differente. Iniziando dalla lussuria dove i fori di una serratura immettevano in un universo parallelo, dove vive la passionalità carnale. Quadri fluttuanti accompagnavano nel girone degli accidiosi e fra questi uno specchio, il nemico-amico che tutti temono perché riflessi vediamo noi stessi e i nostri difetti e debolezze. Poi una danza superba ha catturato l'attenzione dei più o meno umili. Le demoniache ballerine hanno danzato ossimoricamente parlando, divinamente. Una luce abbagliante ha poi accecato il pubblico, quella del pelide Achille. A seguire la gola, dove regna la scultura, ma niente gesso o marmo, solo dolciumi e frutti succulenti. Si ode in lontananza un declamare accorato, quello dell'irato che innalza il suo grido attraverso i versi di Catullo e Schopenhauer. Ma la strada è ancora lunga e alti, a lato del sentiero accasciati fra l'erba a far da cornice a forzieri e scrigni dorati, quattro avari a cui poi si aggiungerà nel corso dei loro dialoghi la figura tetra e oscura del Barone, geloso dei suoi averi che, ahimè, dovrà prima o poi lasciare.
Una breve rappresentazione teatrale, per la regia di Marco Panfili, tratta da "Il cavaliere avaro" di Puskin. Come ultima tappa del percorso, un peccato aggiuntivo ma tipico del nostro tempo che, scrive G. Bernard Shaw, è peggio dell'odio, è l'essenza della disumanità: l'indifferenza. A rappresentarla manichini freddi e privati del capo, niente occhi per vedere o orecchie per sentire, solo corpi plastici privi di anelito vitale.
04/09/2007 09:42
Redazione