Auschwitz nel racconto di due sopravvissuti

GUBBIO - Piero Terracina e Ida Marcherai. Apparentemente sono nomi che lasciano indifferente, in realtà rappresentano due superstiti della terribile tragedia umanitaria del campo di sterminio di Auschwitz. I due sono stati ieri i protagonisti principali, alla presenza del professor Dino Renato Nardelli e dell'assessore comunale Graziano Cappannelli, dell'incontro presso il Centro Servizi Santo Spirito insieme al giornalista rai Roberto Olla, che ha presentato il suo libro intitolato "Le non persone: gli italiani nella Shoah", davanti ad una platea composta dai ragazzi delle scuole superiori eugubine. Racconti struggenti e commoventi, al termine dei quali l'essere sopravvissuti ad un simile sterminio non sembra lasciare sensazioni esclusivamente positive, tutt'altro. "Ci hanno fatto perdere la nostra identità. Non ci sentivamo più essere umani; ad Auschwitz - ha raccontato Terracina con la voce spezzata dall'emozione - non esistevano né Dio né l'uomo. Ero considerato solo il 5504, solo un numero. Ci hanno tolto tutto, anche la speranza. Quando ci alzavamo - ha proseguito - non avevamo nessuna certezza di ritornare a fine giornata, ma nonostante tutto non abbiamo mai perso la dignità". L'intervento di Terracina è continuato con un cinico realismo. "I nostri assassini non erano pazzi, erano perfettamente consapevoli di quello che facevano; questo incontro - ha aggiunto - è proprio l'occasione per far riflettere i ragazzi sui meccanismi che hanno portato ai campi di sterminio". Ida Marcherai fa ancora fatica a raccontare i due anni trascorsi ad Auschwitz. "Dopo quello che ho vissuto non penso di essere tornata alla normalità. Ci hanno ucciso i nostri cari quando noi pensavamo che li portavano a lavare. Così - ha ricordato con un filo di voce - hanno ammazzato mia madre. Coloro che hanno compiuto questo eccidio hanno cercato di farci piangere, ma noi non avevamo più lacrime". Agghiacciante una frase della donna. "La notte sentivo le mie compagne masticare nel sonno. Per la fame, ci siamo cibate per giorni e giorni di neve". Per non dimenticare. Non è retorica, perché solo con la memoria si può evitare che un evento così terribile si possa ripetere.