Porta la firma del presidente della sezione civile della Corte d’Appello di Firenze la rivoluzionaria sentenza che sanziona la giustizia-lumaca del sistema giudiziario nazionale condannando il Ministro della Giustizia a risarcire un cittadino folignate che ha atteso diciannove anni, sei mesi e dodici giorni prima di veder definita la causa civile pendente di fronte al tribunale di Perugia. La Corte d’Appello fiorentina ha difatti stabilito che il dicastero della giustizia corrisponda al vessato cittadino, difeso dall’avvocato Maurizio Salari, qualcosa come 15.500 euro per il presunto danno morale subito, oltre, of course, al ristoro delle spese processuali. Una causa civile, quella che vedeva contrapposti committente e ditta esecutrice dei lavori, trascinatasi per quasi vent’anni e terminata il 14 febbraio 2004. Un iter giudiziario pachidermico e farraginoso, oltremodo iniquo per entrambe le parti in causa. “Un ingiustificato ritardo”, ammette la magistratura che quantifica il disturbo, corrispondente alla mancata definizione del contenzioso, in circa mille euro l’anno. Perché, a dirla tutta, il ritardo accumulato dalla pubblica amministrazione è di 15 anni, 5 mesi e 12 giorni, considerando che la durata media di un processo (così come stabilito tanto dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo quanto dalla Corte di Strasburgo) è fissata in tre anni per il primo grado e cinque per il secondo grado di giudizio. Fatti due conti, ecco che il ritardo eccedente i tempi ammessi supera i tre lustri. E non occorre di certo scomodare Bergson con la sua bipartizione del tempo in interiore ed esteriore per realizzare che quindici anni di udienze in estenuante peregrinazione da un’aula di giustizia all’altra, qualunque parametro si applichi, sono davvero troppi. Tanto da sostanziare la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, diritto di cui francamente ignoravamo di essere titolari, conseguenza diretta “dell’inerzia e delle manchevolezze dell’apparato giudiziario”. Un indennizzo determinato in via equitativa per il danno non patrimoniale subìto dal malcapitato cittadino che rappresenta, a tutti gli effetti, una palese ammissione di colpa, una specie di autogol del sistema giudiziario. Affetto, ma questa non è una novità, da cronica lentezza. Una sentenza, quella emessa in camera di consiglio dai magistrati del capoluogo toscano e depositata in cancelleria il 31 maggio scorso, che dovrebbe, verosimilmente, porre un freno alla tendenza dilatoria della pubblica amministrazione. Così da evitare che la giustizia lumaca finisca per somigliare, sempre più e irreversibilmente, ad una evidente ingiustizia.
Alessandra Cristofani
Foligno/Spoleto
20/01/2007 15:19
Redazione