Nell’anno che celebra i 500 anni della morte di Raffaello si è riacceso l’interesse per il Gonfalone processionale della Confraternita eugubina del Corpus Domini attributo alla bottega di Giovanni Santi, il padre di Raffaello. Ad affermarlo, in un servizio approfondito, la giornalista del periodico specializzato "Il Giornale dell'Arte", Tina Lepri.
Il gonfalone è stato sottoposto in questi anni a restauro e analisi della tela con le tecniche più avanzate per osservarne le sezioni stratigrafiche: riflettografia, infrarossi, fluorescenza a raggi X ed esami al microscopio elettronico.
"L’obiettivo - spiega il servizio di Tina Lepri - è stabilire se all’opera, dimenticata per cinque secoli in un cassetto «accartocciata come uno straccio strizzato» e ritrovata per caso vent’anni fa, ha lavorato anche Raffaello, come è stato ipotizzato fin dal 2004. Furono per primi la storica dell’arte della Soprintendenza di Perugia Giordana Benazzi e il direttore dell’Ufficio Beni culturali della diocesi di Gubbio Paolo Salciarini a sostenere che alcune parti delle figure del Cristo e dei santi sono da attribuire al giovane.
Nella relazione del recente restauro, che ha eliminato le ridipinture e riportato in superficie colori e forme originali di eccellente qualità, si legge: «Sul piviale di sant’Ubaldo (il gonfalone è bifacciale) abbiamo scoperto il primo dei monogrammi del Divino Urbinate, ripetuti più volte nell’opera». Secondo la Benazzi la prova della sua tesi sull’intervento di Raffaello, messa in dubbio da studiosi eugubini tra cui Ettore Sannipoli, Francesco Mariucci e Fabrizio Cece, è proprio quella sigla ripetuta, una R e una V, tracciate sul piviale.
Anche il paleografo Massimiliano Bassetti si è dichiarato certo al 98% che quella sia la firma del pittore urbinate e secondo la sua ipotesi la sigla va interpretata come RAV o RAPhV, cioè Raphael Vrbinas.
Ma per gli scettici quelle lettere sono invece la sigla del vescovo patrono di Gubbio, sant’Ubaldo, a cui il Gonfalone è dedicato. Lo studioso inglese di Raffaello Tom Henry ha contestato sia la firma sia lo stile pittorico: conferma soltanto che per lui lo stendardo è riconducibile all’ambiente urbinate di Giovanni Santi e databile tra il 1485 e il 1515. Insomma il dubbio resta.