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Il no di Anselmo alla guerra, racconto di un reduce eugubino

Il no di Anselmo alla guerra, a Gubbio uno degli ultimi reduci della campagna di Russia durante il secondo conflitto mondiale
Anselmo Fumanti, classe 1917, 89 anni alle spalle, e ancora tanta voglia di vivere. Lo stesso spirito di sopravvivenza che gli ha permesso di superare le difficili prove che la vita gli ha posto davanti. Su tutte la campagna in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, una delle pagine più dolorose della storia italiana, costata ad Anselmo l'uso delle gambe. Era l'aprile del '41 quando arruolato nella Divisione Torino Sanità, dopo essere già stato sul fronte francese e su quello jugoslavo Anselmo tornò finalmente a Roma. Aveva una licenza di oltre due settimane, ma dopo solo alcuni giorni arrivò la chiamata per la Russia. I soldati italiani, quando in Unione Sovietica c'erano già temperature invernali, partirono con l'equipaggiamento estivo. Fu lì, sul fiume Don, che Anselmo fu fatto prigioniero. Aveva la febbre, ma capiva qualche parola di russo, quel tanto che bastò per comprendere la fine destinata ai prigionieri malati, la soppressione. Di qui la decisione di fingersi morto: lui ed altri sette soldati italiani rimasero nella neve per sette giorni, immobili, congelati, tanto che due persero la vita. Fu una famiglia di contadini a rifocillarli per poi essere nuovamente consegnati nelle mani dei Russi. Anselmo, piegato dai dolori per la cancrena, fu fatto salire su un treno ospedaliero per la Siberia. Lo stesso treno dove si sarebbe consumato uno degli atti più dolorosi della sua vita. Il male aveva preso entrambe le gambe e Anselmo arrivò addirittura a fingere di avere a Gubbio moglie e figlia, tutto per spingere a compassione una dottoressa russa, insieme alla quale prese la decisone più drammatica, quella di amputare entrambe le gambe. “Quello è stato il momento più brutto - ricorda ancora con dolore Anselmo -anche se poi ho subito pensato che era sempre meglio vivere che morire. Io sono uno attaccato alla vita - continua - e a questa età spero ancora di andare avanti”. A quel giorno seguirono altri due anni di prigionia in Siberia, poi in Uzbekistan, dove dei prigionieri tedeschi crearono i primi appoggi rudimentali in legno per le sue gambe. Dopo la malaria e la dissenteria era rimasto solo 35 chili. Ancora una volta fu una dottoressa russa a salvargli la vita. Tornò in Italia solo alla fine della Guerra. Dal matrimonio con Lerandra, 60 anni il 26 ottobre scorso, Anselmo ha avuto tre figli: una famiglia che è il suo orgoglio, insieme a quello per il suo Paese. “Ho una bella famiglia di cui vado fiero, - dice infatti Anselmo- così come continuo ancora ad andare fiero di essere italiano, nonostante la sofferenza che ho patito per combattere per la mia patria”. Ma la seconda guerra mondiale, ad un ragazzo che partito per la leva militare a 21 anni tornò a Gubbio solo sette anni dopo, ha lasciato anche le idee molto chiare sui conflitti. “Io cancellerei da tutti i vocabolari la parola guerra", afferma perentorio, con tutta la fermezza che lo ha accompagnato e ancora lo accompagnerà per il resto della sua vita.

06/11/2006 08:18
Redazione
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