Pasqua, periodo di riconciliazione, per molti ma, paradossalmente, non per il caso Curia Vescovile di Assisi e Confraternita della Santissima Trinità di Gualdo Tadino. La diatriba apertasi nel 2001 e già finita in tribunale – si è svolta infatti la prima udienza a Gubbio e a maggio è attesa la seconda – è destinata a ripercuotersi anche sulla prossima processione del Venerdì Santo del 25 marzo, quando a Gualdo si ripete una tradizione lunga di secoli che vede la Confraternita della Santissima Trinità, nel caratteristico saio rosso, trasportare il simulacro in legno del Cristo Morto che da sempre, dalla sua nascita nel XIII secolo, custodisce. Lo scorso anno, si ricorderà, con grande scandalo per la prima volta da quando si ricordi, il Cristo non venne portato in processione, ufficialmente a causa del maltempo, adottando una soluzione tuttavia non scelta in precedenza anche quando a farla da protagonista era la neve. Un problema poteva essere dato dal fatto che i Confratelli dissidenti, ovvero non firmatari del nuovo statuto proposto dalla Chiesa e per questo attualmente considerati dalla Curia fuori dalla Confraternita, avrebbero voluto trasportare il simulacro del Cristo vestiti con il classico saio rosso, vedendosi tuttavia rifiutata tale possibilità proprio per la loro mancata adesione allo statuto. Quest’anno il copione si rinnova, con l’aggiunta del fatto che i Confratelli dissidenti hanno inviato al vescovo monsignor Sergio Goretti una nota per chiedere di lasciare da parte le diatribe e nella sera del Venerdì Santo, per rispetto a una tradizione secolare, consentire loro il trasporto del Cristo. La risposta della Curia riportata dal vicario foraneo Monsignor Giancarlo Anderlini è stata netta: Una Confraternita della Trinità riconosciuta già c’è, ai dissidenti la risposta è no se tali persone intendono effettuare il trasporto in qualità di Confratelli con il classico saio rosso visto che come tali la Chiesa non li riconosce, sì se vorranno farlo come semplici devoti in vesti o borghese. Una tradizione che dura da secoli a Gualdo è dunque appesa a un abito, ovviamente con tutto quello che esso rappresenta.