Fa luce su un fatto di guerra completamente dimenticato e non citato in alcuna pubblicazione che ha trattato gli avvenimenti 1940-44 nel territorio di Gubbio un articolo a firma del giornalista e scrittore eugubino Gianluca Sannipoli. "Il 30 giugno 1944 si concluse la “Battaglia del Trasimeno”, che aveva visto scontrarsi lungo la “Trasimene Line” la X Armata Tedesca e l’VIII Armata Inglese. La “Trasimene line”, o meglio “Albert line” come la indicavano i tedeschi, dal nome di battesimo del comandante delle forze armate in Italia, il feldmaresciallo Kesselring, era una delle linee difensive realizzate per rallentare l’avanzata delle truppe alleate che risalivano la penisola (Linea Gustav, Linea di Arezzo, Linea dell’Arno, Linea Gotica, etc.). La Albert Line partiva da Castiglion della Pescaia sul Tirreno per raggiungere l’Adriatico poco a sud di Ancona.
Nei primi giorni dell’estate 1944 era stata liberata gran parte dell’Umbria, ma restava ancora in mano tedesca tutta la parte a nord di Perugia, dove la particolare conformazione fisica del territorio permetteva agli occupanti di difendersi anche con pochi uomini e mezzi, mentre il grosso dell’esercito si stava ritirando verso nord.
Anche nella zona di Gubbio, appena provata dalla orrenda strage dei 40 Martiri, i tedeschi riuscirono a bloccare per molti giorni l’avanzata degli alleati, rifugiandosi sulla linea di colline posta a nord-est del centro abitato e dalla quale è possibile controllare tutta la vasta pianura sottostante.
Così, i monti Ingino, Ansciano e tutti gli altri sia in direzione della Flaminia che della Strada Tiberina, si trasformarono in un campo di battaglia. I militari inglesi cannoneggiavano dalle colline a sud della città, mentre i tedeschi rispondevano con artiglieria e lanciarazzi. La popolazione civile si trovò per giorni in mezzo a questa pioggia di fuoco che non risparmiò nessuno e causò varie vittime sia nel centro abitato di Gubbio che nelle campagne circostanti.
Uno degli episodi più gravi e oggi completamente dimenticato, accadde nel pomeriggio di martedì 4 luglio 1944. Erano circa le 16,30 quando nei pressi della casa colonica dove risiedeva la famiglia di Alfonso Calzuola, nelle proprietà della tenuta di Castel d’Alfiolo a poche decine di metri dalla stazione ferroviaria di Padule, un proiettile di mortaio tedesco cadde nei pressi della casa colonica. Una pioggia di schegge investì varie persone, causando la morte di due donne e un ragazzino. Restarono uccisi sul colpo: Maria Sannipoli in Menichetti, nata il 13 ottobre 1902 da Giuseppe e Cristina Brunetti; Maria Fiorucci in Calzuola, nata l’11 agosto 1879 da Nazareno e Carolina Filippetti e suo nipote Orlando Calzuola, nato il 22 luglio 1932 da Roberto e Elvira Minelli. Un altro bambino, Primo Calzuola nato il 6 agosto 1941, restò gravemente ferito alla testa.
In mancanza di documenti ufficiali di indagine sull’accaduto, è possibile soltanto ipotizzare il tipo di arma col quale venne lanciato il proiettile. I mortai lanciagranate venivano usati per scavalcare un ostacolo naturale, avevano dunque una traiettoria parabolica, ma a seconda dell’inclinazione del mortaio potevano raggiungere anche bersagli posti ad oltre 5.000 metri di distanza. Era il caso del Granatwerfer 42, il lanciagranate più utilizzato dalla fanteria tedesca nell’ultima parte della seconda guerra mondiale.
Era stato costruito sul modello del lanciagranate russo PM 38 da 120 millimetri. Consisteva in una piastra circolare di base, il tubo di lancio e un bipiede di sostegno. A causa del peso complessivo (circa 285 chilogrammi) il lancia mortai venne dotato di un asse a due ruote col quale poteva facilmente essere spostato dopo i lanci.
Altra ipotesi è quella legata ad un’arma più piccola, il Granatwerfer Model 1934 da 80 mm, anche questo usato durante tutta la seconda guerra mondiale. Era un lancia mortai molto più piccolo e maneggevole, poteva essere trasportato anche da un solo uomo e lanciava proiettili con oltre mezzo chilogrammo di esplosivo ad oltre 2 chilometri di distanza.
A giudicare dai danni che provocò il colpo di mortaio nei pressi di Padule, l’ipotesi più plausibile sembra essere la prima, considerato che il Granatwerfer 42 poteva lanciare proiettili del peso di 15,6 chilogrammi, dei quali 3,1 di esplosivo, con un’angolazione compresa tra 45 e 85 gradi e un raggio massimo di lancio di poco più di 6 chilometri.
Le vittime di Padule vennero sepolte al civico cimitero di Gubbio nella stessa cappella dove riposano molte altre del periodo di guerra. Il giorno successivo ci furono altri quattro morti civili: tre nel palazzo Stirati in piazza Bosone (il professor Filippo Stirati, Maria Stirati e Ubaldo Angeletti) per un’altra granata e il vigile del fuoco, Umberto Paruccini mitragliato dai tedeschi nei pressi della Prima Cappella del Monte Ingino. Dopo l’eccidio dei 40 Martiri, i sette morti del 4 e 5 luglio furono uno dei momenti più tragici del passaggio del fronte nel territorio di Gubbio.
01/07/2010 08:14
Redazione