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Valtopina: pastore sequestrato, rapinato e minacciato di morte

Valtopina: pastore sequestrato, rapinato e minacciato di morte. Angelo Bellani, vittima della presunta aggressione da parte di un commando di slavi, racconta la sua incredibile vicenda.
Ha sentito latrare i cani ed è uscito a piedi nudi fuori di casa. Li ha seguiti, i suoi nove pastori maremmani, fin dietro la sua abitazione. Non ha avuto nemmeno il tempo di guardarsi intorno, Angelo Bellani, sessant’anni, pastore da generazioni, che tre slavi, nascosti sul tetto di un annesso agricolo di sua proprietà, gli si sono avventati contro, immobilizzandolo e costringendolo a sdraiarsi carponi a terra. Erano circa le ventuno e trenta di lunedì quando il commando di stranieri ha minacciato di morte un uomo in maniche di camicia, scalzo, disarmato, uscito di casa nel cuore della notte solo per l’insistente abbaiare dei cani. E’ buio pesto. Non si vede a un palmo. Le uniche luci sono quelle dello stadio, ottocento metri più avanti, superata la vecchia Flaminia. Angelo Bellani è in procinto di andare a dormire. La televisione è accesa, il monitor rimanda l’immagine di Insinna e dei suoi concorrenti che tentano la fortuna. Sono i suoi cani, quelli che tutti i giorni proteggono il gregge ai pascoli, che lo avvertono che c’è qualcosa che non va. Il pastore di Valtopina non può sapere che si tratta di un agguato. Urlano “Dacci i soldi”. Lo dicono più volte, in cattivo italiano, mentre con la canna di un fucile da caccia tormentano il fianco del pastore. “Pecetta”, così come lo chiamano tutti a Valtopina per un qualche motivo che si è perso nel tempo, non oppone resistenza. Solo si limita a dire che di soldi non ne ha. Il suo unico contante è quel gregge di pecore con cui trascorre dodici ore di fila ogni giorno. I tre stranieri non ci credono. Gli infilano un sacco bianco in testa, a mo’ di cappuccio e se lo trascinano dietro, fin dentro la sua casetta gialla al civico cinque di Collebudino di Valtopina. L’incubo è appena iniziato. Il cappuccio, i tre, glielo sfilano solo per consentirgli una più rapida indicazione del posto dove credono abbia nascosto il denaro. “I soldi, i soldi…”, ripetono. “Ci sono cinquecento euro nel portafoglio” si precipita a dire Bellani. Ma il portafoglio, vuoto, giace abbandonato sul pavimento, in un angolo della stanza. Guarda le pupille all’interno dei fori dei passamontagna che nascondono il volto dei tre rapinatori, Pecetta, continuando a ripetere che in quella casa di soldi non ce ne sono davvero. E non che non fosse, a una prima occhiata, del tutto intuibile. Vive a pianterreno, Bellani. Fuori, nell’aia, ci sono vecchie bombole di gas, legna accatastata, una carriola, vari utensili agricoli. E un container di lamiera dove lui durante i lavori di ristrutturazione post-sismica della sua casa ha vissuto per anni. Bellani insiste: “I soldi non ci sono”. Due dei rapinatori si allontanano. Prendono di mira il container, lo rivoltano da capo a piedi. Lui, il sequestrato, rimane con il terzo uomo. E’ la volta della rabbia. Sorda e cieca di fronte ad un dato di fatto, ormai indiscutibile. I soldi non si trovano perché non ci sono. “Esci”, urla il rapinatore. Bellani ha giusto il tempo di afferrare un piccolo coltello da cucina dalla mensola sopra il camino. “Ti uccido”, dice a mo’ di soffio nelle orecchie lo straniero. Che punta verso l’alto la canna del fucile ed esplode un colpo. E’ allora che Bellani riconosce quell’arma, l’unica che possiede, eredità del padre morto. E’ allora che accoltella il suo aggressore e scappa verso le luci in fondo alla strada. Si tiene la ferita con la mano destra, la stessa con la quale impugna il coltello insanguinato, quando varca la soglia del bar e con una specie di rantolo invoca aiuto. “Mi hanno sparato”, dice. Alessio Piermatti, il gestore, lo soccorre. Lo sdraia su un materassino di gommapiuma, tampona la ferita al fianco. Segue il ricovero all’ospedale “San Giovanni Battista” di Foligno, l’intervento e il trasferimento in reparto. Il proiettile, sparato a bruciapelo, gli ha attraversato il fegato. Ha una scapola fratturata, forse dai colpi inferti con il fucile usato a mo’ di bastone. E negli occhi una luce di terrore. Sulle tracce del commando i carabinieri della Compagnia di Spoleto, al comando del capitano Alessandro Barone, che hanno già provveduto ad effettuare i rilievi di polizia scientifica.

31/01/2007 15:06
Redazione
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