Pensare nuovi percorsi di sviluppo in Umbria. Lo studio commissionato da Confindustria Umbria all’Università degli Studi di Perugia sfocia in una naturale prospettiva politica ed ha iniziato a sollecitare un interessante ed ampio dibattito.
“Verso l’Umbria del 2020 – Dagli attuali nodi strutturali ai futuri scenari di sviluppo” è il titolo dell’analisi economica, curata dal prof. Bruno Bracalente, che è stata al centro dell’incontro organizzato oggi pomeriggio presso l’Auditorium di Confindustria.
Il dibattito che ha poi chiuso il convegno si è sviluppato con una tavola rotonda - che ha seguito la presentazione dello studio - dal titolo “Quale politica industriale per l’Umbria”, coordinata da Andrea Gennai de Il Sole 24 Ore, ed alla quale hanno partecipato Umbro Bernardini, presidente di Confindustria Umbria, e le candidate dei tre principali schieramenti politici alla presidenza della Regione, Catiuscia Marini, Fiammetta Modena e Paola Binetti.
L’apertura dei lavori del convegno è stata invece affidata ad Antonio Campanile, vicepresidente Confindustria Umbria, e a Pierluigi Daddi, preside della Facoltà di Economia dell’Università di Perugia.
La riflessione proposta, inoltre, si colloca opportunamente all’interno del contesto nazionale, il quale è stato trattato - dopo la presentazione di Bracalente - da Giampaolo Galli, direttore generale Confindustria.
A partire dall’esame dei nodi strutturali del sistema locale, con questa ricerca si formulano delle ipotesi circa il profilo economico, sociale e demografico che avrà l’Umbria tra 10 anni. Ciò che più colpisce del lavoro, è stato sottolineato, è che la divergenza dell’Umbria rispetto alle regioni limitrofe tenderà probabilmente ad aumentare, se non si introdurranno dei correttivi alle forze spontanee.
L’Umbria è l’unica regione del centro nord ad avere un reddito pro capite inferiore alla media nazionale. Questo divario negativo si è presentato per la prima volta nel 1984 e da allora non si è più colmato.
“Se i nodi strutturali esistenti non verranno sciolti – ha affermato Bracalente durante l’esposizione dell’indagine sui fenomeni economici – la forbice tra l’Umbria e le regioni più dinamiche del paese si allargherà e la differenza sarà più intensa in negativo se la crescita italiana sarà trainata dalle esportazioni. Visto che le vendite all’estero poco incidono sul Pil umbro, una loro crescita significa determina l’espansione delle regioni aperte all’estero e la retrocessione relativa di quelle che dipendono dalla domanda interna. Al contrario, se in futuro l’Italia non sarà protagonista degli scambi mondiali, allora il divario Umbria/ regioni leader diminuirà”.
“Con questa analisi – ha sottolineato Bracalente – non si sono volute fare previsioni ma vedere in che misura i caratteri strutturali, se non modificati, possano condizionare il futuro dell’Umbria. La nostra regione presenta problemi di dinamica economica, con l’andamento della produttività che è sotto la media italiana di dieci punti. Questa però, in Umbria, è un problema più sentito per i servizi di mercato che non per l’industria”.
Generalmente le indagini economiche riguardano l’analisi di ciò che è accaduto, in un passato più o meno recente. In questo caso lo studio, realizzato grazie al contributo della Cassa di Risparmio di Spoleto, concerne il futuro. Da qui l’importanza e gli spazi per una azione politica, ed innanzitutto di politica industriale, per correggere l’attuale penalizzante bilanciamento tra “motori autonomi” (Imprese manifatturiere export oriented) e “motori non autonomi” (P.A., servizi privati per il mercato locale) della crescita.
“Se non si interviene con politiche industriali appropriate – ha detto Campanile – si rischia di trovarci nel 2020 più distanti da chi corre veloce. Le ragioni della ricerca sono state quelle di conoscere le condizioni ambientali in cui si svolgerà l’attività industriale delle nostre associate, di definire nuovi servizi alle imprese per sopperire ad eventuali carenze dell’offerta territoriale e di sollecitare un dibattito. Per cercare di recuperare il terreno perso occorrono interventi che diano più forza ai motori autonomi dalla domanda interna, riducano relativamente il peso dei motori non autonomi e sviluppino le potenzialità di un altro possibile motore autonomo, il turismo. Si pone dunque con forza la questione manifatturiera. In Umbria, per progredire, ci vorrà più industria. E più Confindustria, per aiutare le imprese a crescere e per definire le politiche per il loro sviluppo”.
Stando alle analisi presentate nella ricerca, il futuro per l’Umbria non è affatto tranquillizzante. La distanza che si è accumulata rispetto alle regioni più avanzate del Paese ed alla stessa media nazionale, misurata in maniera estremamente sintetica dal prodotto per addetto, rischia di ampliarsi.
La nostra regione si è distanziata dal gruppo di territori a cui è più affine, e non è più riuscita a recuperare il terreno perso. Ha certamente compensato questo divario potenziando altri aspetti della convivenza, che concorrono a definire il livello di benessere qualitativo, rispetto al quale infatti eccelle. Non è stata in grado, fino ad ora, di trovare il punto più alto possibile di sintesi tra la quantità del reddito e la qualità della vita.
Non va sottaciuto il raggiungimento di un obiettivo che l’Umbria si era storicamente posta, quale quello della pressoché piena occupazione. Ma allo stesso tempo sembra che lo abbia fatto dando vita ad un modello di sviluppo con insufficienti potenzialità di crescita.
Tanto è vero che i prossimi anni, anziché favorire la convergenza, potrebbero alimentare una ulteriore divergenza. Ciò in considerazione dei nodi strutturali della nostra economia, che presenta un bilanciamento tra “motori autonomi” e “motori non autonomi” troppo spostato a favore di questi ultimi. L’industria manifatturiera, che dei primi è protagonista, ha un peso insufficiente nella composizione del valore aggiunto, almeno se confrontato con quanto si registra in zone più virtuose, ed è troppo spostata sulla domanda interna rispetto a quella estera. Allo stesso tempo si rileva un peso notevole dei servizi pubblici non di mercato e delle piccole attività di terziario fortemente ancorate ai fattori locali ed a bassa produttività.
In prospettiva, a complicare ulteriormente le cose interverrebbero poi le tendenze demografiche, la scarsa mobilità sociale, l’insufficiente valorizzazione del merito, l’affermarsi di reti chiuse.
“Da questa analisi – ha dichiarato Bernardini – emerge l’importanza fondamentale di predisporre politiche industriali che riescano a correggere un percorso che, lasciato alle sue forze inerziali, ci porterebbe fuori strada. Con questo studio commissionato all’Università di Perugia pensiamo di avere reso così un servizio non solo agli imprenditori, ma all’Umbria intera, dando un importante contributo a quanti la studiano, la governano, la abitano. Obiettivo è quindi quello di trarne idee e stimoli per concorrere, nell’ambito delle proprie responsabilità, a proporre politiche che ridiano slancio ad una regione che rischia altrimenti di ritrovarsi nel 2020 ancora più distante dalla media del Paese”.
Giampaolo Galli, direttore generale Confindustria, ha messo in evidenza le richieste che in questo momento di elezioni vengono fatte ai politici: “Chiediamo – ha detto – delle buone amministrazioni, regole semplici, più stabili e la certezza del diritto. Ai candidati chiediamo impegno a far funzionare le amministrazioni e in questo senso la dimensione locale è fondamentale. Credo nell’importanza delle elezioni regionali e momenti di confronto come questo sono cruciali per far sentire addosso ai candidati gli stimoli e le proposte della società civile”.
Infatti, dopo il quadro delineato con la presentazione della ricerca, si è tenuta una tavola rotonda tra le candidate alla presidenza della Regione Umbria. Queste hanno così potuto fare le loro osservazioni e proposte.
“Considero fondamentali – ha detto la Marini – due motori autonomi che ci consentiranno di affrontare quei nodi che ci rendono meno dinamici di altre regioni: il manifatturiero, con il quale penso sia possibile indirizzare anche politiche pubbliche, e il turismo. Bisogna consentire alle imprese di semplificare i passaggi burocratici, migliorare l’accesso al credito e sfruttare al meglio i bandi europei”.
“Sono d’accordo – ha affermato la Modena – quando si dice nella ricerca che per crescere la regione ha bisogno di una mentalità che punti al merito, sul capitale umano e su chi vuole investire. La nostra coalizione infatti vuole dare importanza a coloro che producono reddito, rovesciando radicalmente l’impostazione seguita fino ad oggi”.
“C’è bisogno assoluto di discontinuità – ha detto la Binetti – perché come si è visto da questa indagine ciò che è stato fatto finora è inadeguato per risolvere i problemi della regione”
18/03/2010 08:20
Redazione