"Non si muore solo di non lavoro, come è successo col suicidio del cassaintegrato ex Merloni. Nel territorio umbro dove la crisi picchia più duro, si muore anche di lavoro, quando c'è, come c'è".
Si apre così una riflessione a firma del consigliere comunale Prc di Gualdo Tadino, Gianluca Graciolini, sul tema della sicurezza sul lavoro all'indomani della morte dell'operaio rumeno, precipitato da un'impalcatura lo scorso fine settimana, e che ha donato gli organi.
"Abbiamo atteso invano, dopo la tragica fine del giovane romeno caduto dall'alto di un capannone industriale mercoledì scorso, che qualche voce “in capitolo” si levasse contro la vergogna delle morti bianchi e contro le condizioni di insicurezza nei luoghi di lavoro.
Certo, vi sono state le belle parole di Walter Orlandi, il direttore generale dell'Azienda ospedaliera di Perugia, sulla volontà del ragazzo di donare i suoi organi in caso di decesso e sull'espianto che ha esaudito quella volontà, dando a possibilità di salvare ben quattro vite. Un gesto di estrema generosità di cui la nostra Città dovrebbe andar fiera per essere stato compiuto da un suo figlio “adottivo” e ne dovrebbe serbare memoria perenne ed ufficiale. V'è stata anche la bella prova di solidarietà per consentire alla salma del poveretto di far ritorno alla sua casa natale, dai suoi familiari, fatto che fa senz'altro onore a chi l'ha promossa e a chi vi ha contribuito. Ma a diversi giorni dall'accaduto non abbiamo ancora registrato alcuna presa di posizione né da parte delle Istituzioni locali, né da parte delle organizzazioni sindacali, né da parte di alcuna associazione datoriale: niente di niente, neanche dal Sindaco o da altri amministratori, che al contrario avrebbero dovuto immediatamente sanzionare il fatto come meritava ed interrogarsi sulle condizioni generali in cui maturano determinati eventi, impegnandosi a sollecitare interventi di controllo, prevenzione e repressione nei cantieri e nei luoghi di lavoro più a rischio e a mettere in campo quelli di loro competenza.
Partiamo infatti da un presupposto inoppugnabile: le morti sul lavoro non sono mai una tragica fatalità. Mai, sottolineiamo, non nel Paese che vanta in questo quotidiano stillicidio il suo più triste e vergognoso primato. Le morti sul lavoro sono la punta di una piramide, sono solo il frutto del disprezzo di regole elementari messe a salvaguardia della vita e dell'incolumità di chi lavora per campare e sono la dimostrazione più drammatica di come il lavoro sia stato ridotto ad una merce da sfruttare o su cui risparmiare il più possibile, con i suoi diritti sottoposti ad un costante tentativo di cancellazione, quotidianamente umiliati, dimenticati, offesi e negati.
Una situazione che colpisce maggiormente gli emigrati, i lavoratori precari e i giovani, tanto più nella zona grigia dell'economia sommersa e del lavoro nero, come le statistiche “ufficiali” attestano. É un grave problema sociale che rende i deboli ancora più deboli, colpendo soggetti e fasce di popolazione già per loro stesse più vulnerabili, spesso prive di adeguati strumenti di
conoscenza o di esperienza ed altrettanto frequentemente sottoposte al ricatto più odioso: o si lavora alle condizioni imposte dal padrone o dal padroncino, senza alcuna tutela, o non si lavora (e non si campa). Se proprio nei giorni della tragedia i dati diffusi dall'INAIL davano in calo gli infortuni nel nostro territorio solo “grazie” alla crisi ed al fatto che si lavori di meno (grazie anche ad uno strano modo dell'INAIL di conteggiare gli infortuni sempre in sensibile difetto), quei dati hanno suonato come una beffa,
anche perché è proprio con la scusa della crisi che in tanti hanno alzato il tiro contro le costose regole sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o contro quegli strumenti più efficaci per attestare la regolarità contributiva e non solo delle imprese. Ed in troppi hanno stonato e stanno stonando con le fanfare delle cosiddette semplificazioni anche in relazione alla sicurezza nei luoghi di lavoro, nella considerazione che le più elementari regole da condividere a questo fine costituiscano insopportabile burocrazia nemica della crescita, dello sviluppo e del profitto d'impresa, grande o piccola che sia. Gli attacchi persistenti al DURC, per esempio, contro uno strumento rilevatosi previdente ed efficace proprio dalle nostre parti nel decennio della ricostruzione post-sisma, nascondono solo la volontà di imprese socialmente irresponsabili che vorrebbero avere le mani completamente libere e senza obbligazioni di sorta, compresa quella che le fa a versare i contributi previdenziali ai loro dipendenti e a corrispondere regolarmente la giusta mercede del salario. Attacchi e sponde cui anche parecchia politica si è prestata, quella stessa politica che da trent'anni ci tedia con la retorica del primato dell'impresa a qualsiasi costo".
Gubbio/Gualdo Tadino
23/10/2013 09:26
Redazione