C.Castello.Si taglia da sola la lingua ma finge un'aggressione. L'accusa potrebbe essere quella di simulazione di reato.

L’accusa potrebbe essere di simulazione di reato ma anche quella di procurato allarme e false dichiarazioni alla autorità. Finisce in ogni caso così, con un fascicolo aperto a carico della stessa protagonista dei fatti, che inizialmente si pensava fosse la vera vittima della vicenda, la storia di cronaca che ha visto protagonista una dottoressa di 50 anni residente a Città di Castello che sabato scorso si era presentata ai medici del pronto soccorso dell’ospedale tifernate fingendo un’aggressione da parte di due sconosciuti (“con forte accento dell’est”, dirà la stessa donna) nel garage della propria abitazione.

Le indagini condotte dai carabinieri di Città di Castello che da subito hanno messo in moto la macchina investigativa, hanno portato ben presto alla luce la verità e cioè che era stata la stessa donna a provocarsi la ferita alla lingua con un bisturi in gesto di autolesionismo. Gli inquirenti subito si sono dimostrati dubbiosi della versione dei fatti fornita dalla vittima e in poche ore sono riusciti a ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. Dopo il suo arrivo al pronto soccorso, accompagnata dalla sorella che la stessa dottoressa, dopo essersi ferita, aveva chiamato, i medici hanno sottoposto la donna a un delicato intervento chirurgico per riattaccare il pezzo di lingua amputato. La donna è ancora ricoverata nel reparto di medicina del plesso sanitario di Città di Castello, con una prognosi di 20 giorni. Sembra che la dottoressa, che non è sposata e abita con i genitori in una frazione alle porte del comune di Città di Castello, comunque stimata da tutti e da tutti conosciuta come persona di grandi doti umane, soffrisse da qualche tempo di depressione e avrebbe avuto anche delle incomprensioni con la dirigenza della Asl. Potrebbe essere stata quindi anche questa una delle cause che l’hanno spinta a compiere il gesto disperato della scorsa settimana.

Dal punto di vista delle indagini, quindi la vicenda può dirsi conclusa mentre il fascicolo relativo al caso si trova già sulla scrivania del magistrato di turno, il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini. Resta il lato umano della storia che merita il più profondo rispetto perché sintomo di un malessere che avrebbe potuto oltretutto avere conseguenze ben diverse.

Simona Santi