Si dice serena Giovanna Liboni, sorella di Luciano, passato alle cronache come il Lupo. Il film che racconta di quel fratello disperato, trasformatosi un giorno in rapinatore e il giorno dopo non si sa come in assassino, rispetta la sua memoria. Quella di un uomo che ha sbagliato, sì, ma pur sempre un uomo. E Giovanna, lei che sembra fosse la sorella preferita del Lupo, quella a cui il killer aveva dedicato una tenera poesia d’amore, a vedere l’anteprima della contestatissima pellicola, proiettata giovedì scorso a Roma, ci è andata davvero. Accompagnata dal suo legale, l’avvocato Fiammetta Modena, non ha perso un fotogramma del film. E quando in sala si sono riaccese le luci, ha tirato un sospiro di sollievo. Non nasconde, certo, il fatto che la storia di suo fratello sia stata romanzata, adattata alla finzione scenica. Necessità o scelta della produzione, poco importa. Quel che le premeva era che non venisse oltraggiata la dignità della persona. Condivide la linea del regista, Giovanna Liboni Merli. Quella che rifiuta ogni divisione manichea, qui il bene là il male, privilegiando figure monolitiche, senza alcun spessore. Un sì meno convinto quello del suo legale che prende tempo “perché – dice – ci sono alcuni passaggi che vorremmo approfondire”. Ai familiari del carabiniere ucciso riserva un pensiero, quasi che la morte, che tutto livella, li abbia in qualche strano modo resi più vicini. “Non credo – asserisce – che debbano sentirsi offesi dal tenore del film. La perdita di un figlio è irreparabile, è vero, ma anche mio fratello è finito nel sangue, anche nostra madre è morta di crepacuore. Già, la madre del Lupo, Giuliana Mondi morta il 17 gennaio del 2006. Una famiglia prostrata dal dolore, quella di Luciano Liboni. Basta entrare nel piccolo cimitero di Montefalco, ai piedi della città, per accorgersi che in pochi metri quadrati giacciono, oltre al Lupo, suo fratello Massimo e i suoi genitori, ben quattro componenti dell’ormai disgregato nucleo familiare.
29/03/2007 12:01
Redazione