Si sono accese ieri le luci dei teatri di tutta l'Umbria e di gran parte d'Italia, per rimettere al centro dell'opinione pubblica non solo la difficoltà di un settore, quello della cultura ormai fermo da un anno, ma per gridare a gran voce l'abbandono più completo in cui verte il mondo dello spettacolo e i suoi protagonisti. Una protesta gentile alimentata a più riprese, da ultimo proprio dall'iniziativa di U.N.I.T.A. (l'Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) "Facciamo luce sul teatro". A un anno di distanza dal primo provvedimento governativo che ha progressivamente chiuso i teatri di tutta Italia, U.N.I.T.A. "chiede al nuovo Governo e a tutta la cittadinanza che si torni immediatamente a parlare di Teatro e di spettacolo dal vivo, che lo si torni a nominare, che si programmi e si renda pubblico un piano che porti prima possibile ad una riapertura in sicurezza di questi luoghi". Nei libri di storia del teatro, si parla di quest'ultimo nei minimi termini: il teatro esiste laddove vi è lo sguardo dell'altro, laddove si guarda e si è guardati. Uno sguardo alterum "fisico" e altresì "simbolico" fra corpi, menti, culture che con la pandemia è venuto meno insieme alla fruizione di uno dei luoghi d'incontro per eccellenza, il teatro: "un appuntamento irrinunciabile tra esseri viventi che respirano e si affannano per la vita”: come recita il messaggio affisso al Teatro Comunale Luca Ronconi di Gubbio, a firma di Massimo Verdastro e Luca Berettoni, ideatori del “Teatro dell’inclusione/convivio didattico”. La protesta di U.N.I.T.A. ha raccolto centinaia di adesioni in tutta Italia, testimonianza di una necessità concreta di poter tornare ad aprire le porte dei teatri, di poter tornare a vivere le emozioni che essi regalano restituendo al pubblico la dimensione ed il peso di quello sguardo così diverso dal proprio e di poter restituire ad attori, attrici, danzatori, scenografi, truccatori, tecnici e a chiunque vive dietro e sul palco la libertà di tornare a lavorare.