I colori caldi del fuoco e le fiamme zampillanti hanno ravvivato e caratterizzato, come ogni anno la vigilia di S. Giuseppe, giorno dedicato a tutti i papà. E ieri sera si è rinnovato il cosiddetto “focarone”. Un’ usanza che affonda le sue radici nel passato contadino ma che col tempo ha preso piede anche tra le mura di pietra del centro storico. In campagna, infatti, nel mese di marzo si potavano i tralci delle viti che poi venivano bruciati: un rito propiziatorio fatto poco prima dell’ingresso ufficiale della primavera e messo sotto la protezione del Santo patrono dei falegnami e padre di famiglia, affinché il raccolto, nello specifico le viti, portassero frutto. In città, poi, si bruciavano le potature delle piante da frutto coltivate nei giardini interni di cui erano, e sono tutt’ora, ricche le abitazioni del Centro Storico. L’usanza era anche una occasione di festa ed allegria nonché un momento conviviale che univa grandi e piccini.
Oggi la tradizione si è affievolita ma comunque perpetrata, soprattutto nelle frazioni e nelle campagne, ma ne restano degli esempi anche tra le mura cittadine. E ieri sera la suggestione del focarone si è rinnovata, in una serata che, per le sue temperature già annunciava l’avvento della primavera. Tre i focaroni nel Centro Storico, a S. Giovanni, nella storica piazzetta davanti la Chiesa di “Don Matteo” e in via Savelli della Porta. Maestoso, poi, quello a S. Martino, sul torrente Camignano, dove le alte fiamme, bagnate dal un rivolo d’acqua, hanno attratto numerosi spettatori, grandi e bambin ( maddalena fagiani)