Dieci anni di Festival del Medioevo di Gubbio, nella città medievale più bella del mondo, con un programma che intende fare “luce” sui cosiddetti “secoli bui” e sfatare i tanti pregiudizi su dieci secoli di storia che sono alla base della cultura dell’Occidente europeo. “In dieci anni si sono susseguite oltre 400 lezioni di storia, interamente visionabili sul nostro canale Youtube e tramite una pagina Facebook con oltre 73mila follower – ha esordito Federico Fioravanti, ideatore e direttore del Festival – In questo decimo anno abbiamo deciso di omaggiare la città di Gubbio con un volume di quasi 400 pagine, con saggi divulgativi, che ripercorrono la storia particolare della ‘città di pietra’ e delle sue identità culturali e artistiche”. Il sindaco Vittorio Fiorucci ha voluto ricordare come in questi dieci anni la manifestazione, “che dà lustro e gratifica Gubbio, una città che ha la medievalità scritta nelle pietre”, abbia guadagnato consensi per l’alta qualità dei contributi, fino a costituire un connubio in base al quale “la città e il Festival non possono fare a meno l’una dell’altro”. Il sindaco a tenuto anche a sottolineare l’impegno dell’amministrazione comunale nel perseguire la crescita dell’evento “anche pensando ad altri spazi più consoni e accoglienti” e ad una serie di eventi collaterali per coinvolgere maggiormente il pubblico e i turisti. La relazione di apertura è stata affidata alla professoressa Maria Giuseppina Muzzarelli, dell’Università di Bologna, la quale ha trattato il tema dei “mille colori dell’epoca senza nome”, ringraziando Fioravanti che per aver “creato e curato” un Festival che “ha cambiato il nostro sguardo sul Medioevo”. Muzzarelli ha affrontato il tema partendo dalla Sainte-Chapelle di Parigi, con le sue vetrate multicolori, “una festa per gli occhi e lo spirito”, ponendo una domanda: “Come definire quest’epoca che ha cambiato le basi della società e fondato un nuovo mondo attraverso la nascita di istituzioni, di saperi, di modi di funzione dell’economia, se non epoca di luce?”. Attraverso l’analisi delle leggi suntuarie e degli scritti notarili che elencano migliaia di vestiti femminili, descrivendo la ricchezza di colori, con “donne vestite in gran parte d’oro che sembrano sfidare il sole”, Muzzarelli ha descritto un “oscuro medioevo dal quale fanno capolino” tagli di abiti e tonalità di colori che ancora si ritrovano oggi nelle collezioni di moda, in una “policromia che diventa elemento identitario” del Medioevo. Tornando alla domanda iniziale, quindi, “chiamare secoli di luce questo periodo, sarebbe congruo e giustificato”. Il professor Carlo Tosco, docente all’Università di Torino, ha parlato delle cattedrali gotiche e del “trionfo della luce”, protagonista assoluto di queste strutture, la “lux nova” dell’abate Suger e della chiesa di Sens, dove “la luce diventa necessità” attraverso le vetrate che vanno a colmare gli spazi costruttivi tra le colonne, slanciate verso l’alto, “agili e leggere”. Per il professor Tosco “il Gotico è un momento magico dell’architettura” che si sviluppa in un luogo ristretto attorno a Parigi, dando luogo ad “una serie di realtà ridondanti” dove la luce è fondamentale e all’interno del quale l’architetto e lo scultore trovano un nuovo spazio di protagonismo. Miniare, illuminare, abbellire un manoscritto e rendere gloria a Dio. La professoressa Cristiana Pasqualetti, dell’Università di L’Aquila, ha parlato della duplice rivoluzione epocale avvenuta con il “passaggio dal papiro che si srotola al libro che si sfoglia” e “la novità fondamentale dell’intreccio tra il segno grafico e l’immagine”. Il manoscritto miniato presenta pagine arricchite da lamine di oro e argento, colori sgargianti, che ornano e decorano le Sacre Scritture, con “un’invenzione della quale il Medioevo non è debitore dell’Antichità”. Compaiono, così, le iniziali figurate, quelle istoriate e filigranate, poi le drôleries, “decorazioni grottesche, umoristiche e a volte oscene, che segnano il processo di laicizzazione della cultura”, laddove prima era appannaggio del solo clero, anche per quanto riguarda la committenza di libri miniati, che passa dai monasteri ai principi. La professoressa Alessandra Foscati, dell’Università di Lovanio, ha ripercorso la storia del parto ricordando come “il Medioevo subisce il pregiudizio moderno di arretratezza, tuttavia era impensabile durante l’età di mezzo lasciare la donna sola durante il parto”. La docente ha ricordato come sia difficile trovare testimonianza del parto, anche in epoca contemporanea, ma come “è in epoca moderna che si assiste a pratiche mediche violente sulle donne” in caso di parti difficoltosi, “fino a ipotizzare l’uccisione della donna agonizzante per salvare il bambino”, quando nel Medioevo san Tommaso d’Aquino scrive che è necessario fare tutto il possibile per “salvare la donna, sempre”. Intensa la riflessione sul salvataggio del bambino per evitare che nasca morto, senza battesimo, perdendo l’anima. Il parto, visto come momento drammatico per la donna “i tempi del Medioevo sono stati comunque luminosi per la donna, quelli bui sono arrivati dopo”. La conclusione della sessione pomeridiana è stata affidata al professor Franco Cardini, chiamato a dirimere la questione della frase che è anche il tema secondario del Festival, cioè “siamo come nani sulle spalle dei giganti”. In una lunga dissertazione il professor Cardini ha portato l’ascoltatore a riflettere sul fatto che nella storia per i contemporanei, spesso, l’età dell’oro è individuata sempre in un momento storico posteriore, diverso nel tempo. Così come l’età di Virgilio è superiore a quella di Stazio, così è pensabile che “giganti” come Aristotele, Dante e Leonardo siano superiori alle epoche successive e che “le nostre realizzazioni sono più piccole e debbono molto a quelle precedenti”. I nani sulle spalle dei giganti, però, i primi possono “vedere più cose e anche più lontane non perché noi abbiamo una vista migliore di loro o una prestanza fisica migliore di loro, ma siamo più in alto e quindi ci troviamo in una situazione di avere una grandezza gigantesca in altri termini”. I nani sulle spalle dei giganti, per il professor Cardini “non guardano solo avanti, ma possono anche guardare indietro e a differenza dei giganti possono interrogarsi sul passato e sul presente”, ma è innegabile che se i nani sono così è perché hanno potuto contare su quanto fatto dai giganti. La prima giornata del Festival, però, ha vissuto un momento particolare con il professor Alessandro Barbero, con un sold out da settimane e oltre 700 persone venute ad ascoltarlo, chiamato a parlare di un personaggio che ha illuminato il Medioevo e anche le epoche successive: san Francesco di Assisi. Un lungo racconto di questo santo, “canonizzato in tempi brevissimi dalla Chiesa”, che ha portato un messaggio dirompente, ma rimanendo sempre fedele alla Chiesa. Il professor Barbero ha ricordato come Francesco, dopo una vita da giovane ricco, “viene toccato da Dio” nell’incontro con dei lebbrosi e poi la scoperta del messaggio pauperistico di Gesù e la volontà di seguire quella strada, con rigore, con radicalità. E poi le difficoltà di osservare “sorella povertà”, i compromessi per l’approvazione della regola, la improvvisa crescita dell’Ordine, fino alla morte e alla deformazione anche della sua vita con le varie biografie di Tommaso da Celano, fino ad arrivare a quella Legenda Maior e ai Fioretti, che tanto hanno contribuito ad addolcire la figura del santo, “estremamente scomodo”, ma che nella sua vita ribadì sempre che “se vuoi vivere da cristiano devi vivere nella Chiesa”.
Gubbio/Gualdo Tadino
26/09/2024 08:03
Redazione